Sitting volley, lezione di vita

Condividi con

Quando si affronta il tema della disabilità si corrono almeno due rischi.

Il primo è quello di cadere nel pietismo, nel sintetizzare il tutto con un mesto e sofferente “poverino/a”.

Il secondo rischio è invece rappresentato dall’ipocrisia egoistica di pensare che sia sufficiente utilizzare espressioni come “diversamente abile” per aver esaurito il nostro ruolo sociale e aver dato le giuste attenzioni alla disabilità. Non è, e non dovrebbe essere, così.

Qualche giorno fa ho avuto la meravigliosa opportunità di assistere agli allenamenti della Nazionale  italiana  femminile di Sitting Volley, la pallavolo paralimpica giocata da seduti, con la rete bassa; disciplina che consente a persone affette da disabilità di praticare volley amatoriale e agonistico.

Davanti ai miei occhi non ho visto donne con amputazioni di arti o costrette a muoversi con l’ausilio di una carrozzina ma atlete vere, grintose, competitive, che con tecnica, fatica, intelligenza mandavano il pallone oltre la rete, nel campo avversario.

Ho visto gesti sportivi emozionanti e giocate degne di applausi.

Ecco, in quegli istanti, oltre a riflettere sull’importanza dello sport nella vita di ognuno di noi, ho pensato a quanto sarebbe bello, importante, fondamentale se questa disciplina fosse insegnata nelle scuole, fosse pubblicizzata con maggiore intensità, fosse vista, seguita, applaudita da un pubblico sempre più numeroso ed eterogeneo.

Credo che il Sitting Volley possa rappresentare una straordinaria lezione di vita, capace di insegnare il rispetto per se stessi, per gli altri e per la vita.

E forse oggi più che mai, ne abbiamo bisogno


Condividi con

Lascia un commento