Caro Davide,
sarebbe troppo ingrato dimenticare le emozioni vissute e i successi condivisi in questi anni; sarebbe troppo ipocrita rinnegare l’ammirazione e la stima autentica che ho nutrito per te.
In quella maledetta sera di Apeldoorn (Paesi Bassi, ndr), in cui conquistammo il bronzo Mondiale, avevamo entrambi gli occhi lucidi perché, i rumors a bordo campo, riportavano il tuo desiderio di riflettere sul tuo futuro in azzurro.
Il tempo spiega tante cose e, oggi, quegli occhi lucidi hanno un significato più che mai nitido, per chi non li ha dimenticati: quel giorno hai smesso di essere tu l’allenatore, affidando convocazioni, esclusioni, parole e scelte ad altri. O forse solo a sentimenti che non appartengono ad un comandante che stringe saldo fra le sue mani il timone della sua nave. Umano certo, come lo è sbagliare.
Un gruppo di giocatrici aveva chiesto le tue dimissioni. Un giorno, forse, ne capiremo i motivi.
Tu sei rimasto. E anche di questo, forse un giorno capiremo il perché.
Oggi resta l’amarezza per aver probabilmente dilapidato un patrimonio generazionale con cui potevamo davvero vincere tutto.
Colpa dell’ego. Sia chiaro, non solo il tuo.
A pagare però gli errori, pur condivisi da molti, é generalmente uno solo: l’allenatore.
Capro espiatorio, può essere. Ma anche questo fa parte del gioco.
Buona pallavolo e buona vita, caro Davide.