Una donna alla guida della Nazionale di pallavolo femminile?
Provocazione? Suggestione? Necessità di raccogliere consensi dalla “quota rosa”, che poi nel volley è in realtà la stragrande maggiornaza dei protagonisti coinvolti? No. Solo una riflessione, oggettiva, intensa. Forse troppo.
Negli ultimi vent’anni, nella pallavolo e più in generale negli sport non solo di squadra, abbiamo “sdoganato” ed iniziato ad esternare, talvolta fin troppo, l’importanza della componente psicologica ed emozionale. Termini quali neuroscienze, mental coach, gestione emotiva sono entrate a far parte del lessico sportivo.
E allora la domanda è fin troppo banale: chi meglio di una donna può comprendere le emozioni, gli istinti, il carattere di una singola atleta e gestire le dinamiche di un gruppo femminile?
Quesiti che ne suggerisce un altro: perchè allora nella massima serie del campionato nazionale non vi sono primi allenatori donna sebben il nostro movimento possa vantare “donne in panchina”, umanamente e professionalmente ineccepibili che hanno scritto pagine indelebili e stupende della pallavolo italiana?
Penso a figure di spessore straordinario come Simonetta Avalle, Alessandra Campedelli, Manu Benelli o nel suo ruolo di preparatore atletico Nadia Centoni.
E ho elencato solo una manciata di nomi, i primi che, con non poche emozioni, la mia mente ha “pescato”. Donne allenatrici, le cui biografie andrebbero studiate sui banchi di qualsiasi liceo sportivo.
Ecco, allora a quella domanda iniziale, parsa a qualcuno perfino provocatoria, mi piacerebbe ricevere dalla nostra Federazione la migliore delle risposte: una donna, che per competenza e curriculum, sieda almeno nello staff del nuovo corso azzurro,
Nella foto: Alessandra Campedelli, web