Cara meravigliosa medaglia…

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Cara meravigliosa medaglia olimpica, sono ventiquattro anni che ti aspetto, ti inseguo e ti sogno.

E arrivi, cosi, in una calda serata di un agosto parigino, per merito di una generazione di atlete che ho avuto l’onore, la passione e la follia di veder nascere, crescere e diventare grandi, grandissime.

E arrivi una manciata di mesi dopo quel quarto posto europeo  che sembrava decretare, inesorabilmente, il peggior epilogo delle nostre aspettative; la brusca fine di un progetto quadriennale e delle speranze di poter essere ancora protagonisti.

E arrivi dopo una qualificazione olimpica onestamente mai in discussione, ma sofferta per non essere arrivata nei modi e nei tempi desiderati.

Sembrava che tutto fosse da rifare, da rifondare  e invece, cara medaglia, bastava semplicemente tornare ad essere noi, una squadra, un gruppo di atlete uniche e complementari guidate con determinazione e serenità dall’unico uomo che avrebbe potuto farlo: Julio Velasco.

E ieri sera, mentre stavi arrivando, cara medaglia, in pochi istanti mi sono passati davanti tanti anni, ricordi, aneddoti. Indelebili, indimenticabili. Lacrime di delusione e di gioia, emozioni vissute a bordo campo, da “semplice tifoso”, con quell’amore folle quanto incondizionato per la maglia azzurra.

E ho ripensato a quell’articolo, scritto a Belgrado, tre anni fa, in una notte talmente unica da farmela tatuare accanto al cuore; un articolo che sembrava il delirio euforico di un tifoso inebriato:  “A Parigi ne sono certo, vinciamo una medaglia. E che medaglia…”. Poteva sembrare una profezia e invece ho solo riposto fiducia in un gruppo strepitoso. E l’ho fatto, con orgoglio, anche nei momenti più bui.

Di qualunque metallo ti vestirai domenica, ben arrivata, cara medaglia.

Ah, quasi dimenticativo: quant’é bella quest’Italia, la mia Italia.

Foto: da web


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