Un nome, Nadia, il cui significato etimologico è “speranza”; una scritta tatuata sulla sua spalla destra, “hope”, traduzione inglese dello stesso sostantivo. Uno splendido sorriso che della sua capacità di sperare è il miglior testimone.
Sognatrice, romantica, ottimista. Nonostante tutto, nonostante dal 1 maggio 2013 la sua vita sia stata sconvolta e irreversibilmente trasformata da una disabilità che la costringe a muoversi con l’ausilio di una sedia a rotelle.
Lei è Nadia Bala, nata a Rovigo, classe 1988, atleta paralimpica, tesserata con la Qui Sport Trecenta, icona nazionale del sitting volley, la pallavolo che si gioca seduti per permettere, a chi come lei ama da sempre questo sport, di poter continuare a praticarlo nonostante la disabilità.
Nadia non è solo il simbolo di uno sport paraolimpico, è molto di più.
E’ la miglior ambasciatrice del coraggio e della voglia di vivere, del desiderio di alzare ogni giorno l’asticella alla ricerca di obiettivi sempre più ambiziosi, di cogliere ogni opportunità che la vita comunque le concede.
Nadia non è solo la sorella maggiore di Giulia, a cui ripete ogni giorno, con una straordinaria iniezione di fiducia, ”sarai migliore di me”, ma riesce a essere anche la “sorella maggiore” di qualche migliaio di ragazzi incontrati nelle scuole di tutta Italia, dove lei va per parlare di sitting volley, trasmettendo con un’efficacia straordinaria i valori dello sport e della vita.
<<I giovani sono gli architetti del futuro>> – esclama con fermezza Nadia – <<è giusto sedersi accanto a loro senza la presunzione di essere migliori, ascoltandoli, parlando loro da pari>>.
Il legame che la bella ventinovenne veneta crea ad ogni incontro con i giovani è intenso: <<La prima domanda che pongo ai ragazzi durante gli incontri nelle scuole è: quanto credete di valere? Le risposte che purtroppo ottengo talvolta – racconta Nadia con un pizzico di commozione – mi fanno capire che questi giovani sono spesso spinti a sottovalutare le loro capacità, le loro qualità. La società di oggi – continua con piglio Nadia – propone modelli irreali di perfezione fisica che fa spesso sentire brutti, inadatti, inadeguati molti adolescenti. Occorre ridar loro fiducia, aiutandoli a capire e comprendere quanto sia fondamentale il rispetto per la vita, per se stessi e per gli altri, in ogni ambito.>>
Lezioni di vita impartite con straordinaria umiltà, con immenso amore per la vita, con il desiderio di onorare quella maglia azzurra della Nazionale paraolimpica a cui vuole dare il massimo non solo con le vittorie in campo, ma soprattutto trasmettendo quei valori che ogni atleta ha il dovere di diffondere anche al di fuori del rettangolo di gioco.
E lontano dal campo Nadia insegna anche con la sua vanità ritrovata di donna, presentandosi con il lucidalabbra, i vestitini corti, le ballerine. <<Ho due belle gambe>> ammette con il sorriso e un pizzico di amor proprio. Poi si fa per un istante seria: <<Io lo accetto, sono gli altri che fanno fatica a farlo. Vige lo stereotipo della ragazza triste, trasandata, cupa, vestita con il tutone grigio solo perché seduta su una carrozzina. Io provo a dimostrare il contrario e a cogliere anche quest’opportunità della vita, nella speranza di essere, nel mio piccolo, fonte di ispirazione verso tutte quelle bellissime ragazze che hanno rinunciato alla femminilità perché disabili>>.
Certo, è giusto ricordarlo, accettare la disabilità è stato un percorso difficilissimo, fatto di sofferenze inimmaginabili, di restrizioni che soffocano. <<I primi dodici mesi di disabilità – ammette Nadia – sono stati durissimi e ancora non riesco a raccontarli>>.
Con l’aiuto dello sport, del Presidente della sua società, del suo allenatore e del suo idolo, quel Luca Pancalli, “padre della famiglia paraolimpica” a cui riserva parole di immensa stima e affetto, Nadia ha però saputo tornare alla vita, ha saputo tornare a sperare e a raccogliere tutte le opportunità che ha incontrato sulla sua strada.
Credo che a rendere diversa questa bellissima donna non sia la sua carrozzina ma il modo in cui lei ha imparato a starci, nella normalità in cui vive la sua disabilità, nella forza con cui insegna il rispetto per gli altri e per la vita.
Ci sono persone che corrono e saltano più in alto con le gambe, lei lo fa con il cuore, con l’ottimismo e con il coraggio.
Ed è anche questo che rende Nadia Bala un esempio, un idolo, una mastra di vita a cui sono infinitamente orgoglioso di aver dedicato questa manciata di righe.